venerdì 17 maggio 2024

Returning to Zarnouqa

Mentre commemoriamo il Giorno della Nakba questa settimana, vi invitiamo a unirvi a noi nel lancio di un nuovo breve documentario che mantiene sia il passato che il presente con tenera urgenza. 

Il ritorno a Zarnouqa è una storia palestinese di sfollamento generazionale, genocidio e dell’inevitabilità del Ritorno

Questa storia è più attuale che mai, mentre continuiamo a lottare per la fine del genocidio e per chiedere il diritto al ritorno per tutti i palestinesi sfollati


Come partecipare al lancio globale di Returning to Zarnouqa:

Primo: 

 Guarda il film con i sottotitoli italiani

Ritorno a Zarnouqa  (14 minuti).

Qui: http://www.anemoia.net/zarnouqa-italiano

Secondo: condividi il film con la tua community. Sentiti libero di scaricare e utilizzare qualsiasi immagine in questa cartella per creare post sui social media, e-mail o materiale di sensibilizzazione. Si prega di indirizzare le persone a ReturningToZarnouqa.com


Terzo: se desideri proiettare il film nella tua comunità questa settimana o oltre, utilizza il kit degli organizzatori dotato di domande di discussione stimolanti scritte da Haidar Eid.


Grazie per averci aiutato a lanciare questa storia importante, più attuale che mai.




giovedì 25 aprile 2024

 Care/i amiche e amici,

alla manifestazione del 25 aprile Salaam sarà presente  nello spezzone Palestinese, organizzato dalle Associazioni e delle Comunità Palestinesi,  dove far sentire insieme la voce di dolore, di rabbia, di Resistenza del popolo Palestinese.

 

GIOVEDI 25 APRILE ORE 14 via Palestro - Spezzone Palestinese

 

CONTRO L’OCCUPZIONE SIONISTA

     CONTRO  il GENOCIDIO e la PULIZIA ETNICA

                                                                     PER UNA VERA E GIUSTA PACE

    PER IL DIRITTO ALLA LIBERA AUTODETERMINAZIONE del POPOLO PALESTINESE


Punto di ritrovo per Salaam: Arco Porta Luppi in Corso Porta Venezia angolo Via Tommaso Salvini

 

martedì 23 aprile 2024

Report SAMAH JABR

Care/i amiche e amici di Salaam,

con piacere vi inviamo il report relativo alle iniziative pubbliche con la psichiatra, psicoterapeuta, scrittrice palestinese di Gerusalemme SAMAH JABR.

Per chi non avesse partecipato a una delle iniziative potrete vederle/ascoltarle dai link sottostanti.


Noi, palestinesi, assomigliamo a dei papaveri rossi, dalla vita breve e fragile. La comunità internazionale non è impressionata dalla nostra bellezza e trascura di tutelarci. Al contrario, ci dice spesso che la nostra aspirazione alla liberazione è assurda e non può fiorire. Ciò nonostante, noi abbiamo fiducia nella nostra capacità collettiva di abbellire il versante brullo della montagna e di ispirare una primavera rivoluzionaria agli oppressi della terra”.
(Samah Jabr)


Sabato 13 aprile Samah Jabr è tornata a Gerusalemme dopo quattro giornate di incontri che definiamo semplicemente eccezionali.
La solidarietà nei confronti del popolo Palestinese si basa prima di tutto su una valutazione razionale, storica e politica dell’importanza della sua lotta nella comune battaglia contro l’imperialismo, il colonialismo e il suprematismo, che muovono l’occupazione e l’oppressione sionista.
Ma la stessa solidarietà vive e cammina sulle gambe di una componente di fortissima empatia per la sofferenza e il dolore che il genocidio del popolo Palestinese sta subendo giorno dopo giorno.
Queste quattro iniziative dal 9 al 12 aprile – Milano, Piacenza, Pisa e Firenze – sono riuscite, grazie all'enorme rigore, semplicità, trasparenza e spessore di Samah, a cogliere entrambe le componenti della solidarietà e a ricomporle e declinarle in un unico ragionamento semplice e accessibile per ogni partecipante agli incontri.
Crediamo che gli interventi di Samah siano state semplici e profondi insieme, e siano stati fondamentali per dare risposta alla voglia di conoscenza di ogni partecipante, sia che fossero attiviste/i di organizzazioni umanitarie, militanti internazionalisti, neo-simpatizzanti per la causa palestinese spinte/i all'attivismo dal genocidio in corso, giovani studentesse/i, psicologhe/gi, psicoterapeute, educatrici e educatori, o anche curiosi o curiose mosse/i dalla voglia di capirne di più. Crediamo anche quasi impossibile attribuire categorie a tutte quelle persone che hanno dato vita e partecipato alle quattro iniziative e si sono emozionate/i o hanno rafforzato la loro scelta di solidarietà al popolo Palestinese.
Una sintesi dei quattro incontri è certamente impossibile ma certamente c'è stato un approfondimento sotto tutti i punti di vista della Resistenza sociale e politica dei Palestinesi attraverso il significato del termine “Sumud” una sorta di "resistenza attiva", di resilienza, che invitiamo ad approfondire leggendo i testi di Samah Jabr*. Una denuncia del colonialismo come elemento sempre sotto traccia nella narrazione filo-sionista, ma fondamentale per la comprensione dell’occupazione, il ruolo delle donne nei processi di resistenza, la vita spezzata delle bambine e bambini palestinesi; Samah Jabr ha raccontato il suo lavoro quotidiano con pazienti di tutte le età, oppressi da decenni di sopraffazioni, torture, restrizioni, angherie di ogni genere. Ha raccontato come il concetto di salute, fisica e mentale, non dipenda in Palestina dall’applicazione di rigidi protocolli psichiatrici, bensì dalla capacità di saper opporre una sana azione di resistenza fisica e psichica, individuale e collettiva.
Quattro iniziative eccezionali che speriamo poter riproporre con la presenza di Samah.

*Video iniziativa a Milano* https://youtu.be/AgZNZKmBxOI
*Video iniziativa a Piacenza* https://www.facebook.com/amnestypiacenza/videos/1218250102474879/?extid=CL-UNK-UNK-UNK-AN_GK0T-GK1C *Video iniziativa a Pisa* https://www.youtube.com/watch?v=HhBQ-HoQ8Cc
*Registrazione iniziativa a Firenze* https://drive.proton.me/urls/V6JJYQ93AR#9IH1jp0t116A


Milano: CSA Vittoria – Salaam Ragazzi dell’Olivo Milano Onlus
Piacenza: Salaam, Ragazzi dell’Olivo Piacenza – Amnesty International Piacenza – Donne in Nero di Piacenza
Pisa: Studentə per la Palestina di Pisa e Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Firenze: CPA Firenze Sud

* libri di Samah Jabr tradotti in italiano:

Dietro i fronti, Sensibili alle foglie, 2019
Sumud, Sensibili alle foglie, 2021

giovedì 11 aprile 2024



LUNEDI’ 15 aprile 2024 ALLE ORE 21.00

                                                                                                                                                                                                                è convocata:

 

ASSEMBLEA ORDINARIA DEI SOCI  DI SALAAM

 

presso la sede legale di Salaam: via Guglielmo Pepe/angolo via Carmagnola- Milano  Ingresso da Libreria Les Mots (fermate M2-M5 Garibaldi), 

 

con il seguente o.d.g.:

 

 -  approvazione del bilancio consuntivo 2023 e preventivo 2024;

-   approvazione dell’importo della quota associativa 2024;

-   attività svolte e progetti futuri con le associazioni palestinesi;

-   varie ed eventuali.

 

Siete tutte/i invitate/i a partecipare.

Hanno diritto di voto tutti i soci maggiorenni in regola con il pagamento della quota sociale.

 

 

Vi invitiamo a devolvere il vostro 5 PER MILLE  A SALAAM, perché “le bambine e i bambini palestinesi possano crescere liberi nella loro terra”.

CODICE FISCALE :    9 7 1 30 3 6 0 1 5 5

 


giovedì 4 aprile 2024

Partecipiamo tutte e tutti alla 26esima mobilitazione in solidarietà al popolo Palestinese

 


Partecipiamo tutte e tutti alla 26esima mobilitazione in solidarietà al popolo Palestinese con le Organizzazioni e le Comunità Palestinesi con uno spezzone nel corteo contro i CPR.

SABATO 6 APRILE CORTEO

CONCENTRAMENTO ore 15,00 in Piazza Tricolore a Milano.

No ai CPR e al razzismo di stato

L’Italia è entrata in guerra ed è complice del Genocidio

Fermiamo il Genocidio e la Pulizia Etnica in Palestina

 




sabato 30 marzo 2024


 


                        

Salaam Ragazzi dell’Olivo e Csa Vittoria

organizzano

MARTEDI 9 APRILE ORE 21,00

un incontro/confronto in presenza con

SAMAH JABR

psicoterapeuta e scrittrice Palestinese di Gerusalemme


Dopo aver diretto per 10 anni il centro di salute mentale del distretto di Ramallah, è diventata presidente dell'Unità di salute mentale presso il Ministero della Salute Palestinese. Samah ha anche scritto 2 libri “Dietro i Fronti” e “Sumud resistere all’occupazione” che possiamo certamente definire dei manifesti dell’orgoglio e della dignità Palestinese. Attingendo alle sue osservazioni cliniche e attualizzando il discorso di Frantz Fanon, testimonia della vita quotidiana nella Palestina occupata, invitandoci a riflettere su salute mentale, colonialismo e diritti umani.

Ma ora il popolo Palestinese è sotto l’attacco Genocida dell’entità sionista israeliana e la sua presenza assume un grandissimo valore di testimonianza.

“... Noi, palestinesi, assomigliamo a dei papaveri rossi, dalla vita breve e fragile. La comunità internazionale non è impressionata dalla nostra bellezza e trascura di tutelarci. Al contrario, ci dice spesso che la nostra aspirazione alla liberazione è assurda e non può fiorire. Ciò nonostante, noi abbiamo fiducia nella nostra capacità collettiva di abbellire il versante brullo della montagna e di ispirare una primavera rivoluzionaria agli oppressi della terra”.



FERMIAMO IL GENOCIDIO

PER IL DIRITTO ALL’ESISTENZA, ALLA RESISTENZA ALLA LIBERA AUTODETERMINAZIONE DEL POPOLO PALESTINESE.

Martedi 9 aprile al

Csa Vittoria via Friuli angolo via Muratori Milano

 

Disponibili i libri di Samah Jabr pubblicati da “Sensibili alle Foglie”


lunedì 25 marzo 2024

 

Se il genocidio è un rumore di fondo
di Naomi Klein



È una tradizione degli Oscar: un discorso politico squarcia il velo della mondanità e dell’autocelebrazione. Ne scaturiscono reazioni contrastanti. Alcuni lodano l’oratore, altri lo ritengono l’usurpatore
egoista di una notte di celebrazioni. Poi tutti girano pagina.

Eppure sospetto che l’impatto delle parole del regista Jonathan Glazer, che il 10 marzo hanno fermato il tempo alla cerimonia di premiazione di Los Angeles, durerà molto più a lungo, e il loro significato sarà oggetto di analisi per anni.

Glazer stava ritirando il premio per il miglior film internazionale per La zona d’interesse, ispirato alla storia di Rudolf Höss, il comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Il film segue l’idilliaca vita domestica di Höss con la moglie e i figli, che si svolge in una residenza signorile con giardino adiacente al campo di concentramento.

Glazer ha descritto i suoi personaggi non come mostri, ma come “orrori non-pensanti, borghesi, ambiziosi-arrivisti”, persone capaci di trasformare il male in rumore di fondo.

Prima della cerimonia del 10 marzo, La zona d’interesse era già stato acclamato da molte star del mondo del cinema. Alfonso Cuarón, il regista premio Oscar per Roma, l’ha definito “probabilmente il film più importante di questo secolo”.

Steven Spielberg l’ha descritto come “il miglior film sull’Olocausto che io abbia visto dopo il mio”, riferendosi a Schindler’s list, che sbancò agli Oscar trent’anni fa. Ma mentre il trionfo di Schindler’s
list rappresentò un momento di unità per la maggioranza della comunità ebraica, La zona d’interesse capita in un momento diverso.

Oggi infuria il dibattito su come debbano essere ricordate le atrocità naziste: l’Olocausto dovrebbe essere considerato solo un dramma degli ebrei, o come qualcosa di più universale? Fu una lacerazione unica della storia europea, oppure un ritorno a casa dei genocidi coloniali, insieme
alle logiche e alle teorie razziali che ne erano alla base? Quel “mai più” significa mai più per tutti o mai più per gli ebrei, una promessa che rende Israele intoccabile?

Questi conflitti sull’universalismo del trauma, sull’eccezionalissimo esulla comparazione sono al centro dell’accusa di genocidio mossa dal Sudafrica a Israele presso la Corte internazionale di giustizia, e stanno lacerando le comunità ebraiche in tutto il mondo.

In un minuto Glazer ha coraggiosamente preso posizione su ciascuna di queste dispute. “Tutte le nostre scelte sono state fatte per riflettere e metterci di fronte al presente, non per dire ‘guardate cos’hanno fatto allora’, ma piuttosto ‘guardate cosa facciamo adesso’”, ha detto, sbarazzandosi dell’idea che paragonare gli orrori di oggi ai crimini nazisti significhi di per sé minimizzare, e non lasciando dubbi sul fatto che fosse sua intenzione tracciare una continuità tra il passato mostruoso e il nostro mostruoso presente.

Ed è andato oltre: “Siamo qui in quanto uomini che rifiutano di lasciar manipolare le proprie identità ebraiche e l’Olocausto da un’occupazione che ha trascinato nel conflitto tante persone innocenti, sia le vittime del 7 ottobre in Israele sia quelle dell’attacco in corso a Gaza”.

Per il regista Israele non può passarla liscia, e non è etico usare il trauma dell’Olocausto come giustificazione o copertura per le atrocità commesse oggi dallo stato israeliano.

Altri hanno sostenuto queste argomentazioni in passato, e in tanti hanno pagato a caro prezzo, soprattutto se palestinesi, arabi o musulmani.

Glazer ha sganciato la sua bomba retorica protetto da un’armatura identitaria: si è presentato alla platea come un uomo ebreo bianco e di successo – con al suo fianco altri due uomini ebrei bianchi e di successo – che, insieme, avevano fatto un film sull’Olocausto. E questo privilegio non l’ha messo al riparo dall’ondata di calunnie che hanno travisato le sue parole affermando che stava ripudiando la sua identità ebraica, un’accusa che rafforza la tesi del regista.

Altrettanto significativo è quello che è successo dopo il suo intervento. Appena Glazer ha finito il discorso – dedicando il premio ad Aleksandra Bystroń Kołodziejczyk, una donna polacca che di nascostoportava da mangiare ai prigionieri di Auschwitz e che combatté i nazisti tra le file dell’esercito polacco – sul palco sono saliti gli attori Ryan Gosling ed Emily Blunt.

Senza neppure una pausa pubblicitaria, siamo stati catapultati in una gag sul fenomeno “Barbenheimer”, con Gosling che dice a Blunt che Oppenheimer, il film sull’invenzione di un’arma di distruzione di massa in cui lei ha recitato, avrebbe sfruttato il successo di Barbie al botteghino, e Blunt che accusa Gosling di essersi dipinto degli addominali finti.

All’inizio ho temuto che questo improbabile accostamento avrebbe indebolito l’intervento di Glazer: come potevano coesistere le strazianti realtà appena invocate con questa energia da ballo del liceo californiano?

Poi ho capito: l’artificio scintillante che ha incorniciato quel discorso aiutava in realtà a ribadire il concetto. “Il genocidio diventa il sottofondo della loro vita”: Glazer ha descritto così l’atmosfera del
suo film, dove i personaggi badano ai loro problemi quotidiani – figli insonni, una madre incontentabile, l’infedeltà – all’ombra delle ciminiere che sbuffano resti umani.

Queste persone non ignorano che al di là del loro giardino stia operando una macchina di morte su scala industriale. Semplicemente hanno imparato a vivere delle vite appaganti sullo sfondo di un genocidio.

È questo l’aspetto del film di Glazer che appare più contemporaneo.
Dopo più di cinque mesi di massacri quotidiani a Gaza, con Israele che ignora gli ordini della Corte internazionale di giustizia e i governi occidentali che lo rimproverano bonariamente continuando a inviargli armi, il genocidio sta diventando ancora una volta un rumore di fondo.

Glazer ha sottolineato che il soggetto del suo film non è l’Olocausto, ma qualcosa di più duraturo e pervasivo: la capacità umana di convivere con le atrocità, di farci pace, di trarne un beneficio.

All’anteprima di maggio, prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre e prima dell’aggressione di Israele a Gaza, si poteva considerare il film come un’opera intellettuale da contemplare con distacco. Le persone che dalla platea del festival di Cannes hanno accolto La zona d’interesse con un applauso di sei minuti probabilmente si sentivano al sicuro ad accarezzare la sfida di Glazer.

Forse alcuni avranno riflettuto su quanto ci siamo assuefatti alle nuove imbarcazioni cariche di persone lasciate annegare nel Mediterraneo. O forse avranno pensato ai jet privati che li avevano portati in Francia e a come le loro emissioni sono legate alla scomparsa delle fonti di sostentamento per le persone povere in luoghi lontani.

Glazer voleva che il suo film provocasse questo genere di pensieri scomodi. Però, da quando è arrivato nei cinema a dicembre, la sfida con cui il regista invitava gli spettatori a contemplare l’Höss che è dentro
di noi ci ha toccato molto di più.

La maggior parte degli artisti tenta d’intercettare lo spirito dei tempi, ma La zona d’interesse potrebbe aver risentito di qualcosa di raro: un eccesso di rilevanza e di attualità.


In una delle scene più memorabili del film un pacco di vestiti e biancheria femminile rubati agli internati del campo arriva in casa Höss. La moglie del comandante, Hedwig (interpretata da Sandra Hüller),
stabilisce che tutte, comprese le domestiche, possono scegliere un capo.
Lei tiene per sé una pelliccia, e prova perfino il rossetto che trova in una tasca.

È questa intimità con i morti a essere agghiacciante. E non ho idea di come qualcuno possa guardare questa scena e non pensare ai soldati israeliani che si sono filmati mentre frugavano nella biancheria delle palestinesi a Gaza o mentre si vantavano di rubare scarpe e gioielli per le loro fidanzate o mentre si facevano selfie di gruppo con le macerie di Gaza sullo sfondo.

Sono tanti questi echi che il capolavoro di Glazer sembra un documentario. È come se, girando La zona d’interesse con lo stile di un reality show, con telecamere nascoste nella casa e nel giardino (il
regista ha parlato di “Grande fratello nella casa nazista”), il film avesse anticipato il primo genocidio in diretta streaming.

Tutti quelli che conosco che hanno guardato il film non sono riusciti a pensare ad altro che a Gaza. Questo non vuol dire stabilire un paragone con Auschwitz. Non esistono due genocidi identici. Ma il motivo stesso per cui è stato costruito l’edificio del diritto internazionale umanitario era proprio darci gli strumenti per riconoscere alcuni elementi distintivi.

E alcuni di essi – il muro, il ghetto, le uccisioni di massa, l’intento di sterminio più volte dichiarato, la riduzione alla fame, il saccheggio, la disumanizzazione, e l’umiliazione – si stanno ripetendo.
E allo stesso modo è così che il genocidio diventa un sottofondo, è così che quelli di noi un po’ più lontani da quei muri possono bloccare le immagini, spegnere le grida e semplicemente andare avanti.

Ed ecco perché l’Academy ha rafforzato il messaggio di Glazer con quel brusco passaggio a “Barbenheimer”. L’atrocità sta di nuovo diventando un sottofondo.

Cosa possiamo fare per interrompere la normalizzazione? In tanti stanno offrendo le loro risposte con proteste, con la disobbedienza civile, inviando convogli di aiuti a Gaza o raccogliendo fondi. Ma non basta.

Guardando gli Oscar, dove Glazer è stato l’unico nella passerella di ricchi a parlare di Gaza, mi è tornato in mente che erano passate due settimane da quando Aaron Bushnell, un soldato di 25 anni dell’aviazione statunitense, si è dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington.

Non voglio che nessun altro metta in atto quella spaventosa forma di protesta. Ma dovremmo meditare sulla dichiarazione che Bushnell ha lasciato, parole che considero un finale contemporaneo del film di
Glazer: “Molti di noi si chiedono: ‘Cosa farei se vivessi durante la schiavitù? O durante l’apartheid? Cosa farei se il mio paese stesse commettendo un genocidio?’. La risposta è: lo stai facendo. Proprio in
questo istante”.

* da The Guardian